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Il giudice è il garante della verità della sentenza, o almeno attraverso il processo accusatorio dovrebbe riuscire a trovarla. Ed è proprio il processo il peggior nemico della verità perché la dialettica che va in scena, che lo rappresenta, è distruttiva non costruttiva e le singole parti recitanti si scontrano, mirano a demolire e a far cadere in contraddizione la parte avversa, tentando, con abilità, di far accettare premesse da cui derivano conclusioni contraddittorie con quello che si sosteneva in precedenza. Il giudice ha il dovere di cercare la risoluzione, la verità, ma è schiacciato tra le due possibili menzogne contrapposte. Non potrebbe trovarsi in condizioni peggiori... Ed è proprio questa la condizione del nostro giudice in "I tormenti di un giudice incerto" di Roberto Capretta, in cui si trova tra due parti che vanno argomentando dissertazioni filosofiche, che lo inducono inizialmente in confusione, ma poi, un piccolo varco si apre e trova la strada la sua verità. Perché la verità assoluta è un concetto personale, discutibile, rivedibile ed estensibile a qualsiasi argomento. L'uomo è abituato a giudicare ogni cosa come essa gli appare, poiché siamo tutti diversi ognuno di noi possiede un modo diverso di considerare la verità, quindi potremmo dire: è assoluta oppure è molteplice? E proprio di fronte a questa domanda ci pone il nostro autore, il quale ha saputo dare un'impronta singolare al testo, destreggiandosi abilmente tra la giurisprudenza e la filosofia rendendo il binomio molto affascinante; questo grazie alla sua notevole capacità di saperle sapientemente dosare.